Una crisi ormai profonda e strutturale caratterizza la fase attuale del capitalismo, che ha molti presupposti di finire peggio di quella del 1929, ossia con un crack generalizzato e preconizzatore della Seconda Guerra Mondiale.
Enormi sono le ripercussioni di questa crisi, sia sul piano della politica interna che su quello della politica internazionale. Su quello interno, tutti i Governi nazionali da decenni hanno messo in atto politiche antiproletarie ed antipopolari, incentrate su un esplicito attacco al salario e, ulteriormente, ai settori più deboli del proletariato, specialmente a quelli immigrati, spargendo xenofobia, razzismo e le più bieche forme di populismo.
Sul piano internazionale si è avuta una evidente accelerazione delle dinamiche di contraddizione tra le grandi potenze. Dinamiche che hanno radici lontane nel tempo, ma che nella crisi stanno precipitando anch’esse, impegnandole in una serie di conflitti di tipo economico, politico, diplomatico e, per interposta persona, persino militare. Riteniamo che se il sistema capitalistico continua su questa strada, i proletari di ogni paese si troveranno ben presto in condizioni di fame e miseria e con lo “zaino in spalla ed il fucile in mano”.
Se il proletariato si lasciasse trascinare in guerra dalla propria borghesia finirebbe stritolato, come in passato, nell’ abbraccio mortale dell'unione "sacra" per cui gli interessi delle classi oppresse saranno sacrificati sull’altare degli interessi nazionali.
Mettere in luce il carattere strettamente connesso tra i due piani (interno ed internazionale), significa non solo portarne alla luce la radice comune, ma anche mettere in evidenza che senza una chiara opposizione alle politiche guerrafondaie della propria borghesia, senza rompere col proprio sciovinismo, il proletariato italiano non potrà neanche liberarsi dall’oppressione che questa esercita “sul piano interno”.
Uno dei recenti motivi di maggiore preoccupazione per tutti coloro che si pongono da un punto di vista di classe, è il fatto che la borghesia imperialistica italiana, che da oltre venti anni ha rilanciato su larga scala la difesa dei propri interessi con lo strumento della guerra, abbia potuto impunemente aggredire la Libia, senza trovare una sostanziale resistenza di classe da parte del proletariato, persino senza uno straccio di movimento d’opinione pubblica contro la guerra degno di questo nome.
Esistono senza dubbio delle cause sociali profonde, delle cause oggettive che sono alla base di questa passività (che talvolta diventa anche accettazione) da parte del proletariato di fronte alle politiche imperialistiche della propria borghesia; ma questo non ci esime dal ricercare i nostri limiti ed errori. Riteniamo utile e doveroso affrontare il compito di una analisi seria della dinamica degli avvenimenti ed interrogarsi sui limiti soggettivi del movimento di classe oggi in Italia.
L’incontro nazionale che proponiamo alla vostra attenzione vuole essere un tentativo di andare avanti in questa direzione. Non è il primo e non sarà l’ultimo; vogliamo riprendere il percorso rappresentato da quei momenti di discussione a carattere nazionale – troppo pochi per la verità - che ci sono stati sulla questione dell’aggressione alla Libia nel quadro del nuovo scenario mondiale, del rapporto tra crisi e tendenza alla guerra, ecc, primo tra tutti questi momenti quello dell’assemblea di Napoli del 17 aprile scorso.
L’ intento è quello di mettere a disposizione di tutti un momento di discussione e di confronto che possano essere realmente costruttivi, con un obiettivo chiaro: dare un contributo in direzione di una più esatta e profonda comprensione della realtà, condizione prima ed indispensabile per potere esplicare una politica di classe efficace, in grado di incidere sulla realtà.
CINQUE DOMANDE PER CONFRONTARSI
1. L’aggressione militare alla Libia e più in generale i molteplici fronti di conflitto (Afghanistan, Iraq, ecc), segnalano inequivocabilmente la necessità di subordinazione, disciplinamento e rapina dei paesi periferici da parte di quelli imperialisti. Quali sono i nessi con la crisi attuale del capitalismo?
2. L’aggressione alla Libia è stata posta sotto il comando Nato solo alcuni giorni dopo il suo inizio. E’ questa l’espressione di una contraddittorietà di interessi e della tendenza allo scontro in seno alle potenze imperialistiche o è solo l’eccezione che confermerebbe la regola?
3. Le rivolte nell'area euromediterranea ed araba hanno toccato paesi diversi per storia politica, assetti socio-economici e ruolo internazionale. Quali sono gli eventuali aspetti che le accomunano?
4. Come valutare le strategie e il ruolo che le potenze imperialiste stanno tentando di svolgere nei confronti di queste rivolte?
5. In Italia e negli altri paesi aggressori, la guerra imperialista non sta suscitando quell’ampio e forte movimento di opposizione popolare che sarebbe necessario. Ci sono responsabilità nei cosiddetti settori politicizzati della classe e quali saranno le conseguenze di questa situazione? In che modo le forze della sinistra di classe ed i lavoratori di casa nostra debbono rapportarsi a questo fenomeno?