Baroni e portaborse di tutt’Italia: me fate na sega!
È nata, è nata, è nata …
Dall’Italia al Portogallo, dal Venezuela a Cuba … oggi a San Salvador è nata L’UNIVERSITÀ CRITICA.
Perché la lotta rivoluzionaria non si improvvisa, si costruisce scientificamente.
Nun me davate ‘na lira … ma io non sogno, interpreto esigenze reali.
MANIFESTO DELL’UNIVERSITÀ CRITICA
Uno spettro s’aggira per l’università, lo spettro della critica. Tutte le potenze economiche, politiche e culturali della borghesia si sono alleate in una santa battuta di caccia contro la critica scientifica per estrometterla dall’università e dall’intera società. Nel capitalismo, la sola scienza legittima è quella borghese e la critica scientifica, soprattutto se si rivolge ai principi stessi della società capitalista, è messa ai margini e buttata fuori dai centri ufficiali del sapere.
Questo è ben visibile nel campo delle scienze sociali, in cui la dimensione critica è decisiva. Invece di criticare la realtà, per comprenderla e trasformarla, le scienze sociali insegnano le virtù dell’unico mondo possibile, quello in cui viviamo. Le scuole di pensiero critiche non hanno più alcun ruolo da svolgere e sopravvivono solo grazie alle roccaforti che si sono create all’interno di un sistema accademico assoggettato al capitale, di cui fanno parte a pieno titolo, come panda inoffensivi, da tenere in vita in nome della sopravvivenza della specie.
Il marxismo — l’arma scientifica più potente contro il capitale — è stato assorbito e assimilato dall’università del capitale, perdendo i suoi contenuti rivoluzionari, sia dal punto di vista scientifico, sia da quello politico, per diventare materia di dibattito accademico tra autoproclamati esperti, più attenti alle note a piè di pagina di Marx e ai commenti a margine di Engels, che alla lotta di classe e ai processi rivoluzionari. La critica dell’economia politica non ha spazio nell’università capitalistica. Marx è morto ed è già tanto che si consenta a qualche accademico necrofilo di continuare a occuparsene. Mentre Marx, per ovvi motivi, è stato tenuto attentamente lontano dalla cattedra universitaria, i nuovi marxisti d’accademia sgomitano, in nome di Marx, per avere il loro posto nell’università del capitale. Grazie a loro, Marx entra ufficialmente nelle aule universitarie (non molte, per la verità) come reliquia del passato e il marxismo diventa marxismo accademico, utile al pluralismo borghese, non alla lotta e alla Rivoluzione.
Il vero problema è che la critica accademica, quella ortodossa come quella eterodossa, contiene in sé un elemento contraddittorio: vorrebbe cambiare puntualmente le degenerazioni della società borghese, senza rimettere in discussione la logica generale del capitalismo e senza nemmeno interrogarsi sul ruolo dell’università nel funzionamento e nella riproduzione di questo sistema di sfruttamento. D’altra parte, per chi insegna e fa ricerca, criticare l’università capitalistica significherebbe criticare se stesso, l’aver accettato passivamente la logica corporativa e le relazioni di potere formali e informali che ne discendono, i privilegi di diritto e di fatto e, più in generale, il ruolo di cellula di riproduzione ideologica e agente di selezione per conto del capitale, cui si riduce in definitiva la raison d’être del docente universitario nell’università mercificata del sistema capitalista.
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Le cose stanno diversamente sul fronte studentesco. Qui il problema non è l’attitudine individuale o l’appartenenza a un particolare clan accademico, più o meno tollerante nei confronti della critica scientifica. Lo studio critico è impedito nei fatti a tutti, senza distinzioni, dall’organizzazione stessa dell’università: da politiche di diritto allo studio sempre più classiste; dai ritmi imposti dalla catena di montaggio dell’università-esamificio; dall’organizzazione dei percorsi di studio ritagliata su misura per gli studenti a tempo pieno, che non perdono un colpo, in un’università in cui invece cresce, per scelta obbligata, il numero di studenti-lavoratori e di fuori corso; dall’insegnamento come trasmissione di conoscenze, invece che come rapporto dialettico; dai corsi finalizzati all’acquisizione di competenze utili alla produzione capitalistica, invece che alla crescita scientifica e culturale; dalla mercificazione dell’università, che snatura lo studio e la ricerca, ponendoli sotto la guida del capitale e del mercato.
L’alienazione dello studente tende a generare due processi contrastanti. La trasformazione in macchina da esami (opzione riservata alle classi abbienti), che di certo non favorisce lo sviluppo delle capacità critiche; oppure l’abbandono, per l’insostenibilità dei ritmi imposti dal processo di selezione (la sorte più frequente degli studenti con meno possibilità economiche). Ma c’è anche una terza possibilità: la socializzazione del problema, che porta a reagire, andando alle cause dell’alienazione universitaria. Attraverso i collettivi, le assemblee, le occupazioni e ogni forma possibile di auto-organizzazione, gli studenti si prendono periodicamente l’università e costruiscono, nella prassi delle loro lotte concrete, esperienze di Università critica, provando loro a imporre le priorità scientifiche e politiche da sviluppare negli spazi autogestiti sottratti all’università del capitale.
È molto difficile però trasformare le ribellioni spontanee in tasselli di un processo rivoluzionario. La storia, anche recente, ci fornisce molti esempi del ruolo decisivo che può giocare il movimento studentesco quando assume una valenza critica nei confronti dell’università e della società intera, sia in molti contesti nazionali, sia come movimento internazionale e internazionalista. Oggi tuttavia quasi ovunque le lotte studentesche battono la ritirata. Sotto l’egemonia culturale e politica del capitale, il movimento studentesco fatica a trovare la via per auto-riconoscersi come soggetto rivoluzionario e finisce spesso per cadere nelle rappresentazioni mistificate della società borghese, nel mito della scienza libera, dell’università democratica e della meritocrazia studentesca, senza peraltro riuscire a sviluppare legami stretti con il movimento dei lavoratori, che per primo paga il prezzo della “libertà” della scienza borghese.
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La neutralità della scienza e la meritocrazia non esistono nelle società divise in classi. Nel capitalismo, la scienza neutrale è quella del capitale. Quella che i borghesi chiamano meritocrazia, per i figli degli operai, si chiama selezione di classe. La neutralità della scienza serve solo a imporre gli interessi della classe dominante, facendoli apparire come interessi dell’intera società. La meritocrazia nello studio e nel lavoro serve invece a giustificare e rinforzare le asimmetrie di classe e scaricare eticamente sul singolo individuo le responsabilità storiche della società. Premiare i meritevoli è come curare le persone sane. Invece di aiutare chi resta indietro (o, più semplicemente e realisticamente, chi nasce svantaggiato), si aiuta ad avanzare chi già sta avanti. È il contrario del comunismo, che dà a ciascuno secondo i suoi bisogni e prende da ciascuno secondo le sue possibilità. Eppure, anche a sinistra, sotto l’egemonia culturale del mercato, ormai è su questa base morale e politica, tutta borghese, che si vorrebbe criticare il sistema. Il sistema è ingiusto quando il meritevole è privato del suo diritto, non quando il diritto spetta solo ai meritevoli!
La cultura del mercato domina ormai incontrastata nelle università e nella società. Il capitale sferra liberamente i suoi colpi nei posti di lavoro, nei luoghi di studio e in ogni ambito sociale in cui possa soddisfare la sua sete di profitto, forzando sullo sfruttamento e rinforzando l’apparato ideologico a sostegno della sua egemonia. Lavoratori divisi e in lotta tra di loro per un pezzo di pane. Scienziati sociali che invece di sviluppare la critica e far avanzare la lotta dettano alla società le leggi eterne del capitale. Studenti divisi in nome dei loro presunti meriti e demeriti, in un mondo in cui gli unici meriti che contano sono due: essere di buona famiglia e servire bene gli interessi del capitale.
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Questo è lo stato di cose da cui partiamo. Ma senza catastrofismi, né autocommiserazione. Bensì con la consapevolezza che abbiamo un lavoro politico da compiere. La scienza neutrale lasciamola pure agli scienziati borghesi. L’obiettivo dell’Università critica è mettere la scienza al servizio della lotta di classe. Perché l’unico modo per non indietreggiare davanti al capitale è quello di unirsi e lottare. E l’unico modo per avanzare e vincere è pianificare le lotte e attaccare il capitale in modo scientifico.
Dobbiamo dunque organizzarci. Dobbiamo socializzare le domande scientifiche che ci poniamo, discutere assieme le priorità politiche da approfondire nella ricerca scientifica e offrire agli studenti percorsi di studio che aiutino la loro crescita scientifico-politica. Dobbiamo agire dentro e fuori le università: dobbiamo lavorare fuori dell’università, nelle contraddizioni che la società affronta ogni giorno, e dobbiamo poi portare queste contraddizioni dentro l’università per affrontarle scientificamente, formando gruppi di studio e di ricerca che sappiano dare risposta ai problemi sociali e che sappiano fornire un contributo scientifico alla lotta e alla trasformazione della società. Dobbiamo aprire le porte dell’università alla critica e fare in modo che gli studenti delle nostre università, quelli di altre università, i militanti politici o semplicemente i soggetti interessati a dare una base scientifica alla loro lotta possano trovarvi posto. Dobbiamo essere consapevoli delle funzioni economiche e sociali svolte oggi dall’università capitalistica per minarle alla base e per trasformare l’università in Università critica.
L’Università critica deve ridefinire i rapporti tra scienza e società, demistificare la scienza borghese e rivolgere la scienza contro il capitale. Dobbiamo appropriarci consapevolmente della scienza e sottrarre al capitale il timone che guida il suo sviluppo. Dobbiamo produrre materiale utile alla formazione scientifico-politica di base e sviluppare ricerche sui temi politicamente più urgenti e dobbiamo farlo col massimo rigore se vogliamo accreditarci come punto di riferimento scientifico nella lotta politica. Sviluppare la critica anti-capitalistica nelle università e i intrecciare rapporti organici con la società in rivolta contro il capitale sono due aspetti dello stesso processo rivoluzionario.
La creazione di una comunità scientifica rivoluzionaria è un processo irto di ostacoli e di contraddizioni in un’università sempre più asservita al capitale. Studenti isolati che incontrano docenti isolati, anche se animati dai migliori propositi politici, difficilmente riescono a sviluppare un lavoro scientifico che risponda alle istanze dei movimenti e alle esigenze della lotta di classe. Troppo spesso, la loro collaborazione finisce per essere solo accademica. Non per mancanza di volontà politica ma per mancanza di strutture all’interno delle quali esprimere e sviluppare compiutamente questa volontà. Col risultato che le nostre teste migliori, invece di collaborare a un progetto scientifico-politico comune, si disperdono, si imborghesiscono e diventano politicamente innocue.
Per questo serve una struttura che colleghi e coordini i percorsi scientifici critici oggi dispersi e lasciati all’iniziativa individuale e che sappia svilupparli secondo un progetto organico di lotta al capitale in tutte le sue espressioni. Lasciare la gestione della politica universitaria a ministri con in mano l’agenda degli industriali non libererà mai la scienza dal capitale. E purtroppo anche ritagliarsi i propri spazi in un sistema tutto asservito al capitale serve più alla coscienza individuale che alla lotta di classe. È arrivato il momento di organizzare i nostri sforzi all’interno di un progetto comune. Riprendiamoci l’università e trasformiamola nel nostro strumento scientifico per prenderci l’intera società.
Delle due l’una: o l’Università critica si dimostrerà incapace di trasformare l’università capitalistica e degenererà nell’ennesimo esperimento accademico, per critici d’accademia, che inseguono il successo personale e il finanziamento di George Soros e che accettano che la critica sia ingabbiata nelle strette maglie definite dalla razionalità del capitale; oppure l’Università critica riuscirà ad inserirsi nella dialettica di trasformazione dell’università e della società e diventerà parte integrante di un processo rivoluzionario. Perché una cosa è certa: se veramente riusciremo a creare una coscienza di classe nella comunità scientifica, non sarà per servire meglio il capitale, ma per liberarci dalle sue catene.
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L’Università critica si propone due obiettivi intimamente connessi: 1) diffondere e sviluppare gli strumenti teorici di critica anti-capitalistica, 2) produrre ricerche scientifiche direttamente mirate alla lotta anti-capitalistica. Si tratta senz’altro di una corsa in salita e col vento contro. Ma si tratta di una corsa che dobbiamo fare e vincere, altrimenti il capitale ci farà indietreggiare, addormentando la coscienza di classe e annientando, una dopo l’altra, tutte le nostre conquiste.
La sfida è grande. Se non giochiamo la partita o se continuiamo a giocarla all’interno delle regole del capitale, sappiamo già cosa ci aspetta: un’università sempre più asservita al capitale e sempre più incapace di svolgere qualsivoglia funzione critica nella società. Se invece decidiamo di correre e di correre uniti, con umiltà politica, rigore scientifico e disciplina militante, la nostra corsa sarà inevitabilmente vincente. Perché è correndo che si impara a correre e perché è formando una struttura solida che si dà forza e continuità al lavoro dei singoli. La scienza e la lotta sono processi collettivi e cumulativi. Dove uno si ferma, la staffetta scientifica del proletariato prenderà il testimone e, faticosamente ma inesorabilmente, scalerà la vetta, perché, se è vero che la corsa è in salita, è anche vero che sappiamo bene dove porta: al comunismo.
L’Università critica, che il capitalismo vorrebbe marginalizzare ed estinguere, non è semplicemente uno strumento per trasformare e abbattere l’università capitalistica, è anche l’embrione dell’università comunista. Perché se un altro mondo è possibile, un’altra università è necessaria. Il capitale non lascerà mai spontaneamente la presa sulla nostra società, sulla nostra vita e sul nostro modo di pensare. Sta a noi riprendere in mano le armi della critica, progettare consapevolmente il nostro destino e lottare. Solo quando avremo cacciato il capitale dalla nostra società saremo veramente padroni della scienza. Solo allora l’Università critica arriverà a maturità e, sulle ceneri dell’università capitalistica, terminerà la sua metamorfosi in Università comunista.
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Questo progetto di trasformazione dell’università non deve ridursi alla creazione di una nuova università, diversa e contrapposta alle università esistenti, ma deve trasformare il ruolo e i contenuti di ogni università, in ogni città, in ogni paese del mondo. Il capitale si concentra, si centralizza e si internazionalizza per effetto dei suoi stessi meccanismi interni e in questo processo impone al mondo intero la sua scienza e la sua cultura. La società oppressa invece non ha meccanismi propri di unione e di sviluppo solidale. Anzi, deve fare i conti con le tendenze proprie dello sviluppo capitalistico, che schiacciano ogni tentativo di resistenza collettiva, separando i soggetti in lotta e individualizzando ogni rapporto sociale. Per questo la reazione deve essere forte e consapevole. L’egemonia culturale e politica non si costruisce con l’invenzione di nuove istituzioni e di nuove teorie ma con la lotta nei luoghi di produzione materiale e ideologica. Non saranno mai lo spontaneismo e le lotte individuali a generare un processo di trasformazione che possa contrapporsi al dominio materiale, culturale e scientifico del capitale. Per questo, l’Università critica deve dotarsi di adeguate strutture operative.
Ai fini della ricomposizione di una coscienza critica e della capacità di incidere nelle lotte concrete della società, l’Università critica deve creare con urgenza due centri di studio e ricerca che operino in modo trasversale e collegiale in ogni università: Marxismo per la Lotta (ML) e Centro di Ricerca Anti-Capitalista (CRAC).
M L
M a r x i s m o p e r l a L o t t a
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Centro di formazione marxista
Il centro di formazione “Marxismo per la lotta” si propone due obiettivi: demistificare la teoria borghese e costruire una scuola marxista per militanti politici. La demistificazione e l’analisi critica sono strumenti necessari alla formazione di persone pensanti, invece che obbedienti, e una società fatta di esseri pensanti è la sola garanzia di civiltà, democrazia, libertà e comunismo. Ma la capacità di vedere oltre le apparenze del mercato non basta. È necessario anche ricostruire una visione alternativa, dimostrare che un altro mondo, senza capitale e senza sfruttamento, è veramente possibile ed è necessario anche indicare la via per realizzarlo. Per questo, la demistificazione della teoria borghese e lo sviluppo del socialismo scientifico devono andare di pari passo.
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Nel tentativo di fornire una solida base scientifica al punto di vista borghese, le scienze sociali – con l’economia politica in testa – si sono trasformate da tempo in strumenti ideologici di legittimazione e sviluppo della logica di mercato. L’economia politica ha perso la dimensione critica – che storicamente aveva assunto grazie al contributo marxiano – per diventare scienza borghese, finalizzata a nascondere le più grandi contraddizioni del capitalismo e a difendere la tesi della sua razionalità ed efficienza economica. A questo fine, gli economisti borghesi hanno costruito un complesso sistema teorico, che utilizzano per sostenere che il sistema capitalista è il solo mondo possibile – o, comunque, il solo economicamente razionale – e per denunciare l’irrazionalità del conflitto, l’illegittimità della lotta come strumento di emancipazione sociale e l’impossibilità del governo cosciente dell’economia senza il tramite del mercato.
Dietro l’apparente neutralità del metodo e dei principi di fondo della scienza economica si nascondono tuttavia precisi interessi di parte, che i tecnicismi della teoria economica dominante possono solo offuscare, ma non certo cancellare. Questo pone un importante problema teorico e di prassi politica. Da una parte, l’esistenza di interessi contrapposti e di rapporti conflittuali apre la possibilità di sviluppare un dibattito critico da parte delle forze sociali che pagano il prezzo più alto della società del capitale. Dall’altra, però, tale dibattito è impedito proprio dalle barriere tecniche erette dalla comunità scientifica, volte a confinare il dibattito al circolo degli “esperti”, e dal velo mistificatorio del mercato calato sull’intera società, che nasconde lo sfruttamento dietro l’apparenza del libero scambio.
Il significato stesso del bene comune – che la teoria economica evoca continuamente nelle sue prescrizioni normative basate sul principio dell’efficienza economica – è un chiaro esempio della natura borghese della teoria economica dominante. L’efficienza economica è infatti un concetto altamente ideologico e il fatto che la comunità scientifica lo presenti come puramente tecnico e neutrale serve unicamente a favorire il processo di mercificazione della società. In nome dell’efficienza economica, la teoria borghese sostiene la desiderabilità di un mondo tutto basato sulla concorrenza e il libero mercato. Con questa logica, si può essere di destra o di sinistra, ma la prescrizione che ne scaturisce – solo apparentemente scientifica – è sempre la stessa: estendere sempre più la sfera dei rapporti sociali regolati dal mercato e lasciare che la concorrenza ci metta gli uni contro gli altri per servire meglio il capitale. Fingendo o credendo veramente di perseguire il progresso sociale, gli economisti di destra e di sinistra litigano solo su come dar meglio via libera al mercato e estendere la sfera dei rapporti sociali in cui il capitale detta legge sulle nostre vite.
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Il secondo grande obiettivo riguarda la formazione teorica al marxismo. Il motivo per cui la rappresentazione mistificata del capitalismo dilaga anche a sinistra è che manca tra i militanti e le forze politiche progressiste una solida formazione di critica dell’economia politica. Da Keynes a Hayek, dalla Modern monetary theory alla Teoria della decrescita, dal Capitalismo cognitivo al Socialismo di mercato, la sinistra non sa più che pesci pigliare. Teorie borghesi di Lord e Von che d’un tratto diventano i punti di riferimento impliciti o espliciti della sinistra borghese, che dice di parlare a nome degli oppressi. Ormai, la critica politica più avanzata negli ambienti della sinistra “radicale” è quella che se la prende con la finanza cattiva e speculativa, che danneggia l’industria operosa e creatrice di valore. Da una parte, l’avido giocatore di borsa che consuma beni di lusso e gioca con le nostre vite; dall’altra l’industriale gentiluomo che produce la ricchezza della nazione e ci dà lavoro. Eppure basterebbe aver letto Marx e Lenin o conoscere i nomi delle oligarchie economico-finanziarie che si spartiscono il mondo per sapere che l’estrazione del valore sui posti di lavoro e la sua distribuzione attraverso il circuito finanziario sono parte dello stesso processo di sfruttamento e che l’avido speculatore e l’operoso industriale, nel capitalismo finanziario, sono la stessa persona.
Distribuire redditi, stampare moneta, diritto a indebitarsi (sic!), questi sono i nuovi slogan politici della sinistra. Invece di avviare percorsi che caccino il capitale dalla nostra società, che contrastino la formazione del profitto e che riducano lo sfruttamento, la sinistra borghese, come la destra capitalista, non sa far altro che sviluppare ulteriormente il mercato e difendere il profitto, scaricando le contraddizioni del capitale sui lavoratori.
Il marxismo ha perso la capacità di condizionare il dibatto politico e la sinistra per lo più ignora Marx, quando non lo disprezza. Se ormai il velo del mercato è così spesso da impedirci di vedere le vere cause dello sfruttamento umano e della devastazione del pianeta, sta a noi squarciarlo con l’arma della critica più potente che la storia del capitalismo abbia prodotto: il marxismo.
Senza una critica che sveli i meccanismi di sfruttamento che si nascondono dietro il libero mercato, la lotta politica va a braccio e, una dopo l’altra, perde tutte le sue sfide. Sviluppare la critica marxista e offrire percorsi formativi di marxismo orientati alla lotta non è un’opzione, è una necessità. Nelle università e nella società c’è un forte bisogno di una formazione marxista. Tra gli studenti e i lavoratori, nei collettivi auto-organizzati e nei sindacati più strutturati, nelle lotte per il territorio e in quelle per l’ambiente, nelle questioni razziali e in quelle di genere, il grande assente è solo uno: Marx. Sta a noi riportarlo sulle barricate.
ORGANIZZAZIONE: lezioni e cicli di incontri nelle università della rete e nei luoghi di conflitto, corsi di marxismo per quadri, militanti, operai.
COMUNICAZIONE: sito internet con percorsi di studio, libri, articoli, dispense, materiale audiovisivo.
TEMI SCIENTIFICI: critica dell’economia borghese e delle sue ricette politiche; critica del neoliberismo e dell’approccio keynesiano, critica delle nuove teorie borghesi in voga a sinistra; sfruttamento e crisi nella concezione marxista; imperialismo, questioni monetarie, il ruolo dello stato, il ruolo del credito e del debito, i meccanismi del capitale finanziario; lotta di classe e processi rivoluzionari; tecniche di guerra economica; tecniche di pianificazione socialista; dittatura del proletariato e costruzione del socialismo.
C R A C
C e n t r o d i R i c e r c a A n t i - C a p i t a l i s t a
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Think tank per le lotte sociali
Il “Centro di Ricerca Anti-Capitalista” intende sviluppare ricerche economico-politiche a supporto delle lotte sociali e dei processi rivoluzionari.
L’arretramento materiale e culturale nei rapporti di classe impone difficili sfide alle forze rivoluzionarie. L’aumento dello sfruttamento, l’attacco ai diritti e la frammentazione del movimento dei lavoratori e di tutti i movimenti sociali esprimono l’aspetto materiale di questo processo. Ma questi successi del capitale dipendono anche dall’egemonia culturale borghese e dalla sua accettazione acritica da parte della sinistra istituzionale (compresa quella che si vorrebbe radicale), che invece di lottare insegue la concertazione coi padroni e la pace sociale. La “fine della lotta di classe”, la ricerca del bene comune e il mito della concorrenza spianano la strada al capitale, isolano le lotte di resistenza e impediscono la generalizzazione di un fronte comune anti-capitalista.
Contro queste tendenze, è necessario produrre contro-cultura, riprendere in mano le armi della critica e affinare quelle della lotta. A partire innanzi tutto dalla critica delle strategie del capitale, la cui efficacia è rinforzata dall’impreparazione e improvvisazione di una sinistra senza progetti, che si accorge dei limiti del modello di sfruttamento europeo solo quando l’euro entra in crisi e che scopre il problema della guerra economica contro i paesi socialisti quando ormai la popolazione è ridotta alla fame. Quando cioè nessun dibattito è più possibile e invece di pianificare la lotta si può solo affrontare l’emergenza.
Per questo, il Crac intende giocare d’anticipo, prevedendo i futuri terreni di scontro e preparando, sul piano teorico, strategie di lotta adeguate a rispondere alle strategie capitalistiche. In una prospettiva ancor più programmatica, si propone di incidere sull’agenda politica internazionale, sviluppando il dibattito sulle priorità politiche del movimento anti-capitalista e sulle strategie per realizzarle. Solo analizzando attentamente le politiche del capitale è possibile costruire un fronte di resistenza efficace. E solo opponendosi alla sua razionalità è possibile avanzare verso il socialismo.
Lo sviluppo del processo di concentrazione e centralizzazione internazionale del capitale tende a sollevare problemi comuni in molti paesi. Questo accade tuttavia con una tempistica attentamente studiata nei centri capitalistici. Così, per fare un esempio, sebbene la crisi del debito pubblico colpisca tutti gli stati europei, gli attacchi del capitale finanziario internazionale ai singoli stati sono portati in modo sequenziale, per isolarli e colpirli uno a uno. E, in attesa del proprio turno, nessuno si muove e la solidarietà di classe rimane solo formale: tutti a fare il tifo per la Grecia, mentre il capitale assestava un altro colpo decisivo contro i lavoratori di tutt’Europa. In Grecia: riforme strutturali, come si chiamano ormai i tagli ai diritti, ai salari e alle pensioni, sempre più violente. E subito dopo: Jobs act in Italia, Loi travail in Francia e riforme simili in ogni paese … non come attacchi di classe del capitale unito contro il lavoro diviso ma come vincoli esterni cui obbedire, per l’unità nazionale e perché è l’Europa che ce lo chiede.
Mentre le oligarchie finanziarie cavalcano, aizzano e organizzano in tutto il mondo primavere arabe, rivoluzioni arancioni e insurrezioni contro “dittatori” legittimamente al potere con la sola colpa di avere progetti scomodi al capitale, la sinistra arranca. Spesso non va oltre la smentita delle fake news più plateali o la “dimostrazione” che il capitale usa due pesi e due misure contro i dittatori amici e quelli nemici, come a suggerire che i veri obiettivi delle aggressioni militari e economiche siano diversi da quelli dichiarati. Qui tuttavia la critica si ferma. Perché il lavoro un tempo svolto dai marxisti di andare alle cause economiche, agli interessi in campo, alle strategie dei gruppi capitalistici più potenti ormai non lo svolge più nessuno. Capita così che in molti casi la sinistra prenda posizioni ambigue su questioni decisive per miopia e opportunismo e che anche le forze più oneste politicamente finiscano per accettare la narrazione mistificata dei fatti pianificata nei centri di potere del capitale semplicemente perché è la sola storia in circolazione, quella del bene contro il male.
Se non ci decidiamo a studiare le tendenze generali del capitale in crisi e le strategie generali dell’attacco imperialistico alla classe lavoratrice mondiale, subiremo sempre l’agenda del capitale e inseguiremo sempre l’emergenza. E se non ci decidiamo a definire noi i tratti generale di una strategia di affondo al capitale, giocheremo sempre in difesa, pareremo qualche colpo, erigeremo qualche barriera temporanea ma alla fine arretreremo e perderemo.
Per attaccare il capitale nei suoi punti deboli, dobbiamo studiarne la composizione interna, i meccanismi di accumulazione e le strategie di espansione. Dobbiamo studiare le tecniche della guerra economica, le politiche degli stati imperialisti, le strategie dei capitani d’industria e degli squali della finanza, le interdipendenze strutturali a livello nazionale e internazionale, gli intrecci di interessi e gli scontri interni al capitale. Queste sono le condizioni necessarie per riprendere in mano le redini della lotta di classe in modo scientifico. Ma per avanzare dobbiamo anche sviluppare il socialismo scientifico. Dobbiamo studiare e realizzare forme di pianificazione dell’economia, di collettivizzazione dei mezzi di produzione, nuovi modi di soddisfare i bisogni della popolazione senza ricorrere al mercato, dobbiamo attaccare il sistema dei diritti di proprietà, stravolgerlo e infine abolirlo.
La critica anti-capitalista e il socialismo scientifico sono sviluppati in forme e gradi diversi nei diversi paesi. Proviamo a mettere assieme le nostre forze. Unire la critica è solo un primo passo, ma è un passo necessario per unire anche le lotte.
ORGANIZZAZIONE: riunioni e momenti di confronto per discutere le priorità politiche, workshop e conferenze su temi mirati per sviluppare e presentare i lavori svolti.
COMUNICAZIONE: sito internet e blog con schede d’analisi, approfondimenti tematici, proposte politiche.
TEMI SCIENTIFICI: per stare al passo con l’attualità politica, i temi di ricerca devono essere ampi e sufficientemente flessibili. Il taglio generale di questi studi è di voler offrire risposte concrete ai problemi prodotti dal capitalismo e indicare la via per la transizione al socialismo.
PER INFORMAZIONI E CONTATTI SULL’UNIVERSITÀ CRITICA:
Giulio Palermo, Università di Brescia, Italia. giulio.palermo@unibs.it
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