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Default totale, lotta di classe, potere popolare — IL GANCIO DI TYSON

La tabella di marcia del capitale finanziario in crisi e dei suoi lacchè della politica è chiara: 1) accollare allo stato i costi del salvataggio di un sistema bancario e industriale ormai tecnicamente fallito; 2) mandare subito dopo in crisi lo stato per la sua incapacità di restituire i fondi presi a prestito; 3) adottare misure impopolari contro i lavoratori come necessità tecnica per impedire il fallimento dello stato. Sai che novità, come se non lo sapessimo che a pagare sono sempre i lavoratori!

 

Ma c’è un piccolo problema. La nostra fame è diventata la nostra forza e la nostra paura ha generato il nostro coraggio. La vostra bella tabellina di marcia stavolta impatta su uno scoglio: la resistenza popolare.

 

Mentre il capitale finanziario discute dei tecnicismi di questa prima fase della sua strategia ammantandola di alti valori morali in cui i regali alle banche prendono il nome di difesa dei risparmiatori e gli aiuti alle imprese si chiamano lotta alla disoccupazione, i lavoratori già lo sanno che hanno perso tutto.

 

Milioni di lavoratori hanno già perso il lavoro e, anche se per il momento sono tenuti prigionieri nelle loro case, non hanno certo bisogno di aspettare i rilevamenti dell’Istat per scoprirlo e per sapere che devono lottare. Tutti quei lavoratori-imprenditori di se stessi creati da trent’anni di neoliberismo hanno perso il lavoro senza nemmeno un padrone che li abbia licenziati. Perché per loro un giorno senza lavorare è un giorno senza mangiare.

 

Quelle famiglie che con tanti sacrifici avevano sperato di diventare un giorno piene proprietarie della casa in cui abitano il mutuo già non l’hanno pagato e ormai dalla banca che lo stato vuole salvare si aspettano solo la raccomandata per la messa in mora. E le famiglie che non sono riuscite a pagare l’affitto già temono lo sfratto perché i debiti dei capitalisti sono debiti della società ma i debiti della povera gente non se li accolla nessuno.

 

Che dobbiamo lottare lo sappiamo. Ma la coscienza di classe e la lotta popolare non si improvvisano. Possono svilupparsi compiutamente e efficacemente solo se si inquadra con precisione il contesto economico generale e la strategia del nemico. Oggi, l’affondo del capitale contro il lavoro si realizza attraverso il passaggio di mano in mano della patata bollente del debito. Non sono riunioni di esperti quelle che avvengono nei consigli economici e finanziari e nelle sedi delle banche centrali. È lotta di classe! Ma appunto la lotta di classe il capitale preferisce farla nei salotti della finanza, dove noi non siamo ammessi.

 

E allora prendiamo parola dove invece il nostro ruolo non può essere cancellato. Perché qualsiasi cosa decidano i signori della finanza e quelli della politica è sui posti di lavoro che si estrae il valore che servirà a remunerare i padroni …ehm scusate, i risparmiatori. E già perché i loro risparmi, fatti con il sangue dei lavoratori, sono sacri. Oggi dobbiamo salvarli e domani dobbiamo servirli.

 

La solidarietà popolare è un’arma potente, è un fatto spontaneo, è una questione d’appartenenza. Il popolo diseredato non ha bisogno di fini analisi sociologiche sulle trasformazioni dei rapporti di classe per riconoscere se stesso. Che dovremo lottare nei posti di lavoro, nelle piazze, nelle campagne, nelle periferie, casa per casa, lo sappiamo. Nessuna politica di individualizzazione dei rapporti sociali può cancellare l’istinto di popolo. Su questo terreno, siamo più forti di prima, non perché in questi giorni abbiamo fatto pesi ma perché abbiamo fatto la fame e il virus che ci terrorizza ci ha dato la forza per combattere. Mente le compagnie farmaceutiche si battono per chi deve venderci il vaccino, in noi si sono sviluppati gli anticorpi anticapitalisti.

 

Ma appunto i nostri anticorpi spontanei devono conoscere il loro nemico, che non è un virus ma una classe sociale. E devono attaccare per ucciderlo non per convivere con lui. Torniamo quindi al punto da cui siamo partiti.

 

Dopo averci precarizzato la vita in nome dei vostri profitti, pensate ora di accollarci anche i costi dei vostri fallimenti? Pensate di ricattarci con lo strumento del debito pubblico? Bene, prima ancora che andiate avanti con i vostri piani, sappiate che noi il debito non lo paghiamo. La classe lavoratrice non è mai in debito! Il valore che la società si spartisce lo produciamo noi e se pensate di salvarvi oggi sfruttandoci di più domani, sappiate che siamo stanchi anche di farci sfruttare oggi.

 

Non pagheremo nessun debito e nei posti di lavoro lotteremo per riappropriarci dei mezzi di produzione. Non vi pagheremo gli interessi sul debito perché non vogliamo più pagarvi nemmeno i profitti. Fallite e levatevi di torno. La produzione la rimettiamo in marcia noi, col nostro lavoro.

 

Nell’articolo in allegato, sviluppo la proposta di default totale sul debito pubblico. È lì che oggi il capitale ha il fianco scoperto. Ed è lì che il Mike Tyson collettivo e popolare deve sferrare il suo gancio.

 

PS: Se qualcuno volesse riprendere quest’articolo e diffonderlo sul suo sito/blog/mailing list, mandarlo ad amici, compagni, giornali, non chiedetemi il permesso, fatelo. Costruiamo assieme un fronte di resistenza contro il capitale.

 

https://drive.google.com/file/d/1hw5FhWwBQXUi-E1lpBT4IZ5Eeg-SuLru/view?fbclid=IwAR3RYjKFJUQnrGrrG860HZSJS7T253gO9OkUhOgPGR5QIKCIoNerGK8FRlo

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